Otaku
Appassionati di manga e anime, nerd, emarginati sociali: ma chi sono davvero gli otaku? Questo termine giapponese è da decenni oggetto di discussione tra media e studiosi che cercano di darne una definizione dagli anni ’80, quando fu usato per la prima volta dallo scrittore Akio Nakamori nella rivista Manga Burikko.
Prima di definire la parola otaku è però importante capirne la storia. Basta fare un po’ di ricerca infatti per capire che il significato di “otaku” è pieno di ambiguità. La sua definizione dipende essenzialmente da chi la definisce e i media e le tendenze culturali hanno plasmato la percezione popolare del termine nel tempo.
Per capire l’otaku, proviamo a capire come nasce e come si è evoluto.
Un’alternativa alla realtà
Prima della nascita della parola “otaku”, c’erano naturalmente già tanti giapponesi che erano interessati e appassionati di manga e anime. Storie dinamiche, personaggi interessanti e narrazioni sempre più profonde sono tutti elementi che nel corso degli anni hanno caratterizzato i manga aumentando così il numero di fan. Con la trasformazione dei manga in anime, che entrarono nelle case dei giapponesi grazie a tv e videocassette, il pubblico nazionale di queste serie si è ampliato.
Le proteste giovanili degli anni ’60 e lo scoppio della bolla economica della fine degli anni ’80 sono stati tempi difficili per i giapponesi e proprio in quegli anni manga e anime hanno fornito una via di fuga dalla realtà: in molti hanno trovato conforto nei mondi immaginari raffigurati sullo schermo o nelle pagine delle serie. Un elemento che continua tutt’ora: del resto manga e anime offrono un po’ di svago dopo una dura giornata di lavoro, sebbene ci sia molto di più di questo.
L’origine della parola “otaku”
Nel periodo in cui l’industria di manga e anime cresceva, i fan cercavano modi per socializzare e ritrovarsi: gli anni ’80 hanno visto un boom di convention, club universitari e in generale della schiera di consumatori. Gli interessi condivisi hanno dato a perfetti sconosciuti un tema comune, ma la lingua giapponese non offriva un modo concreto per rivolgersi l’uno all’altro.
Il problema è che in Giappone non esiste una parola appropriata per esprimersi in una situazione in cui si desidera parlare appassionatamente e personalmente di qualcosa a qualcuno di cui non si conosce il nome e a cui non sei stato presentato formalmente. Di conseguenza, i fan hanno cominciato ad usare il termine otaku, che è una sorta di pronome onorifico in seconda persona, che può essere tradotto come “tu“. Ad esempio, all’inizio dell’anime Macross, trasmesso per la prima volta nel 1982, i personaggi Hikaru Ichijyo e Lynn Minmay usano il termine in questo modo per parlarsi l’un l’altro, fino a quando non si conoscono meglio. Ma a rendere popolare questo termine fu Nakamori Akio, uno scrittore critico della cultura otaku che ha usato il termine per descrivere i frequentatori di raduni in maniera un po’ dispregiativa in un articolo per la rivista Manga Burikko nel 1983.
In quell’epoca però, la cultura otaku passava ancora inosservata e silenziosa: fu una pagina di cronaca nera a portarla sotto i riflettori.
L’otaku omicida
Dal 1988 al 1989, un uomo di nome Tsutomu Miyazaki assassinò quattro giovani ragazze a Saitama. Nonostante i dettagli macabri di questi omicidi, i media si concentrarono principalmente su un punto: l’uomo possedeva una vastissima collezione di anime e manga.
Miyazaki non era descritto solo come un serial killer, ma anche come un otaku, e questo è ciò che ha realmente portato il termine ad essere conosciuto da un ampio pubblico e ne ha condizionato la percezione. I media, infatti, sostenevano che Miyazaki aveva commesso il crimine perché non riusciva a distinguere tra realtà e finzione.
L’otaku è un asociale?
Lo stile di vita dell’omicida Miyazaki, le sue tendenze antisociali e le sue ossessioni arrivarono a incarnare lo stereotipo dell’otaku. Otaku è diventato sinonimo di “hikikomori” ovvero colui che si isola, sviluppando una forte dipendenza dalla televisione, da internet e naturalmente dal mondo dei manga. Questa immagine dell’otaku antisociale è da molti collegata anche al sostantivo “taku” presente nella parola otaku, che significa “casa”: quindi l’otaku è colui che rimane a casa ed evita ogni forma di interazione sociale.
Ma questa concezione è in realtà sbagliata poiché l’interazione sociale, sia online che offline, è il cuore della cultura otaku. Gli otaku si riuniscono infatti tra gruppi di amici, nei club universitari, nei centri di gioco e nelle grandi manifestazioni. I cosplayer non si incontrano solo per mettersi in mostra, ma si scambiano consigli sui costumi e vengono formati team per creare doujinshi (opere autopubblicate) e venderli alle convention. Le comunità su internet condividono opere d’arte personalizzata, articoli fatti a mano e oggetti da collezione.
L’ultima incarnazione di questi sforzi è l’evento “Comic Market”o Comiket, una manifestazione che si tiene due volte all’anno a Tokyo, attirando 35.000 circoli creativi che producono articoli e manga, e coinvolge tantissimi appassionati di questo mondo.
Inoltre basti pensare a quartieri di Tokyo come Ikebukuro e Akihabara che si sono trasformati nella mecca degli otaku offrendo negozi e librerie ma anche cafè a tema ed eventi che promuovono la socialità e la condivisione della passione per manga e anime.
L’otaku è un nerd?
Nel gergo giapponese moderno, il termine otaku è equivalente anche a nerd, ovvero un intellettuale, appassionato non solo di manga e anime, ma anche di tecnologia, videogiochi e altro ancora.
Un altro aspetto che può essere inquadrato nel nerd-otaku è la creatività: l’otaku si appassiona talmente tanto alla propria serie che ne esamina ogni dettaglio, per passare poi alla creazione di costumi, video musicali, opere d’arte, manga e persino nuove serie basate sul proprio universo preferito. Essere un otaku significa quindi essere in grado di giocare un po’ con le serie manga e anime e divertirsi attraverso di esse senza essere semplicemente degli spettatori passivi.
La creatività è un elemento che viene promosso nella cultura giapponese sin da piccoli. I bambini giapponesi non si limitano ad assistere, a comprare un prodotto e a goderne così com’è, ma vengono incoraggiati a partecipare con la loro fantasia e creare qualcosa di proprio.
L’otaku è un fanatico?
Spesso il termine otaku viene definito come un soggetto “ossessionato” da manga e anime, che si dedica in maniera intensiva a questo interesse anche attraverso il collezionismo di opere, action figures e altri oggetti. Tuttavia uno degli aspetti che differenzia l’otaku da un semplice collezionista accanito è che gli otaku hanno sia interessi materiali (i fumetti, le action figures e l’abbigliamento) sia immateriali (fatti e conoscenza). Gli otaku sono contributori e partecipanti: valorizzano prodotti fatti in casa da altri otaku e derivati dal mondo manga/anime e non sono solo fan, ma intenditori, critici e autori a loro volta.
I luoghi della cultura Otaku
Il distretto di Akihabara a Tokyo è uno dei centri di riferimento per gli otaku grazie ai suoi numerosi negozi specializzati in anime, manga, videogiochi retrò, figurine, giochi e altri oggetti da collezione. Un’altra famosa località è Otome Road nel quartiere di Ikebukuro, sempre a Tokyo, che si rivolge ad un pubblico principalmente femminile. In entrambe le aree oltre ai negozi e grandi department store si trovano Maid Cafè, Manga Cafè e Butlers Cafè, che offrono uno spunto per fare una merenda in un mondo fantastico e molto “kawaii”.
I vari tipi di otaku
Anche se generalmente gli otaku sono considerati appassionati di manga e anime, gli otaku si suddividono in varie categorie a seconda degli interessi specifici. Inoltre la parola otaku può essere collegata a qualunque hobby, passione o ossessione: ci possono essere otaku della musica, delle arti marziali, della cucina e così via.
Alcuni tipi di otaku possono essere, ad esempio:
- Akiba-kei, appassionato di anime, idol e videogiochi molto legato al quartiere di Akihabara a Tokyo.
- Anime otaku, ovvero fan sfegatato degli anime.
- Cosplay otaku, appassionato del cosplay.
- Manga otaku, fan appassionato dei manga
- Gēmu otaku, un amante dei videogiochi.
Gli otaku oggi
Dalla nascita del termine otaku, questa comunità di fan ha fatto molta strada. Oggi da questa cultura è nata un’industria lucrosa che si è diffusa in tutto il mondo, diventando anche uno spunto per attirare turisti stranieri appassionati e promuovere il Giappone come meta turistica. Manga e anime non sono più visti, finalmente, come un intrattenimento infantile ma cominciano ad essere rispettati come genere artistico, complice anche i film di animazione giapponesi apprezzati in tutto il mondo e la rete internet e i social che hanno permesso di conoscere meglio questo mondo.
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Marco Togni
Abito in Giappone, a Tokyo, da molti anni. Sono arrivato qui per la prima volta oltre 15 anni fa. Fondatore di GiappoTour e GiappoLife. Sono da anni punto di riferimento per gli italiani che vogliono venire in Giappone per viaggio, lavoro o studio. Autore dei libri Giappone, la mia guida di viaggio, Giappone Spettacularis ed Instant Giapponese (ed.Gribaudo/Feltrinelli) e produttore di video-documentari per enti governativi giapponesi. Seguito da più di 2 milioni di persone sui vari social (Pagina Facebook, TikTok, Instagram, Youtube).