Sara in Giappone
In questa pagina lo splendido diario inviato da Sara, in Giappone ricordando Fede.
Ho intrapreso questo viaggio per rispettare 2 promesse: la prima, quella fatta tanto tempo fa a me stessa, quando ero bambina e guardando i cartoni animati Giapponesi desideravo ardentemente poter visitare un giorno quel bellissimo posto; la seconda, quella fatta ad un carissimo amico, che poco più di un mese prima del mio arrivo a Tokyo ha deciso di lasciarci…di lasciare me, e sua sorella, ad affrontare “l’evento Tokyo”!
Mi chiamo Sara, ho 27 anni e da poco più di 3 anni ho la passione della Fotografia, arte che mi ha dato tante soddisfazioni e mi ha fatto incontrare persone stupende. Federico era una di queste.
Sua sorella, Sara pure lei, vincendo il campionato italiano Pole Dance a luglio si era aggiudicata la possibilità di rappresentare l’Italia alla finale mondiale che si sarebbe tenuta in Giappone, precisamente a Tokyo! La città di Sailor Moon, e di Nana le mie adorate beneamine dei famosi Anime e Manga.
Federico era tanto entusiasta di questa vincita, si potrebbe dire che toccava il cielo con un dito, poter seguire sua sorella in questa fantastica avventura lo entusiasmava tantissimo; più dell’intraprendere un nuovo viaggio come successo per il Laos e la Cambogia, o nel ritornare nella sua amata Africa dove lui aveva lasciato il cuore!
Quando ci conoscemmo ancora non sapeva del mio amore per il Giappone, ma lui condivideva con me l’amore e la passione che la fotografia comporta. Un giorno di settembre, durante una conferenza stampa a sua sorella nel nostro paese, dove io e Federico facevamo le foto di reportage, sia Sara che Federico mi chiesero di seguirli in questa avventura: Tokyo!
Immaginate la mia immaginazione fino a dove è arrivata a pensare al sì! Ovviamente però dovevo tenere in considerazione tanti punti come il lavoro, il mio ragazzo e soprattutto la spesa economica.
Chissà perché però, tutto decadeva, se pensavo alla mia Tokyo, quella che ho sempre immaginato attraverso quei disegni, alla sensazione bellissima che avrei provato ad essere finalmente lì, con i miei “fratelli” giapponesi. Un po’ di giapponese lo conosco, dopo tutti gli anime in lingua madre che mi sono vista, un po’ di parole le ho imparate, ma ovviamente è nulla se volessi intrattenere una conversazione con loro, quindi avrei confidato in quell’inglese che il marzo precedente avevo allenato a Londra insieme ad altri ragazzi orientali.
Il SI s’è fatto attendere solo un mesetto, giusto per capire quanto tempo mi fosse stato necessario per ottenere il passaporto. Lo stesso giorno che andammo a portare i documenti alla questura di Arezzo prenotai anche il volo per Tokyo.
Oramai con Fede quasi tutti i giorni si pensava, si studiava e si organizzava la nostra futura trasferta a Tokyo. Sicuramente Sara avrebbe dovuto stare dietro all’organizzazione della Pole Dance, ma Fede mi diceva che non c’era da preoccuparsi, che sua sorella era grande e che non c’era bisogno di stare con lei tutto il giorno, anche se io non ero molto d’accordo, però l’idea di andare a visitare Tokyo e poter scattare tutte le foto che volevamo era molto allettante.
L’Hotel era stato sistemato e addirittura il passaporto era arrivato, era tutto stato deciso, nei minimi particolari, eravamo più che entusiasti, eravamo una bella compagnia affiatata già prima di partire, c’era solo bisogno di mettersi a sedere ed aspettare il 4 dicembre 2010 per prendere l’aereo da Roma e partire, destinazione Giappone.
Poi, quel giorno, quella mattina…
Ci dovevamo trovare tutti alla fiera del 1° novembre che tutti gli anni si tiene a Perugia, ci eravamo sentiti la sera prima sul tardi, salutandoci e con la promessa che il giorno dopo ci saremo visti là, direttamente lì, alla fiera.
Quella mattina, alle 10.30 l’Alessandra mi manda un messaggio, chiedendomi se per caso avessi sentito Fede, avevano appuntamento a casa sua alle 8.30 ma ancora non era arrivato, STRANO! Le dico che quasi sicuramente non ha sentito la sveglia e che starà poltrendo, ultimamente si faceva sempre tardi e quindi aveva anche bisogno di dormire, visto il lavoro da ambulante che faceva. Provo a chiamarlo io, quando lo chiamavo io era certo che mi rispondeva, ma nulla! Mentre con il mio ragazzo andavo verso Perugia mi era venuta la voglia di chiedergli di passare per casa di Fede, ma questo avrebbe comportato troppe domande, quindi ho lasciato che lui mi portasse a Perugia. Per la via però prendo la decisione di chiamare sua sorella, che vive a Roma ma che mi ha potuto dare il numero di casa di sua nonna, dove Fede dormiva. Dopo un come stai, e un augurio per una pronta guarigione da un raffreddore, ci salutiamo con un bel “ci vediamo a dicembre per Tokyo”. Ovviamente dopo chiamo a casa della Nonna di Fede, è lei a rispondermi:
“Pronto, ciao, sono la Sara dov’è Fede”
in sottofondo “chi è?”
la nonna “è la Sara, ooooh Sara… Fede non c’è”
“come non c’è? È andato via?non mi risponde, ci dovevamo vedere qui a Perugia, io sono appena arrivata”
“Sara, Fede non c’è più, se n’è andato”
“Come se n’è andato?dov’è andato?”
“Sara, Fede è in camera”
“ah, allora dorme?”
“No, è morto…” O_O
Ricordo tutto benissimo, tutto mi è chiaro… le urla, le lacrime, l’incredulità, il senso di abbandono, di impotenza… e la rabbia, quella che ti assale e non ragioni più, ma che quando hai finito le lacrime e tutte le attenuanti, non ti abbandona. Un’unica consapevolezza mi era fin troppo chiara alla fine di quella giornata: io a Tokyo ci sarei andata… con o senza la Sara. Era il nostro viaggio, e io ci sarei andata: per me, per lui!
Un mese è stato lungo, ma anche troppo corto, un mese per assorbire quel dolore che ti tiene a terra, che non ti fa respirare, è relativamente poco ma ce la dovevo fare!
Le prime 2 settimane sono state le più buie.
I primi giorni si è più increduli, speri che sia solo un brutto sogno. Che da un momento all’altro ti sbuchi fuori con una rumorosa risata, dicendoti che è tutto falso, che non è vero (ancora stento a crederci). I giorni seguenti, sentendo i medici che giustificano la sua assenza con un “malfunzionamento” al cuore (infarto/ictus) ascolti impotente come anestetizzata. Dopo il funerale forse qualcosa nella tua testa inizia ad incasellare l’accaduto, ma non ci vuoi credere perché non è “possibile”. Non è giusto, non è reale…come può una persona, che dà incondizionatamente, che fino a qualche giorno prima saltava da muro a muro per potersi arrampicare che attraversa fiumi e scala montagne, poter andare via così, durante il sonno? Tutt’ora non c’è spiegazione. La scusa delle troppe sigarette, dei troppi caffè e dei casi già successi in famiglia non sono accettabili.
Tokyo era quello che ci voleva.
Il mio compito di lì ad un mese era “riprendermi” essere forte e fare quello che doveva essere fatto.
Accompagnare sua sorella, fare quello che avrebbe dovuto fare Fede: sostenerla, incoraggiarla, e fotografarla.
Un mio amico in quel mese buio mi disse: “ tu pensa, se non lo avessi conosciuto, Sara adesso starebbe soffrendo il doppio, invece Fede ti ha affidato lei, non essere egoista, fai quello che lui ti chiederà di sicuro di fare, vai e falle tante foto…”
Il giorno della partenza tutto è andato per il meglio, mi sono svegliata presto, ho preso il treno che non ha ritardato, mi sono trovata con Sara, siamo andate a casa della sua Manager e insieme siamo andate all’aeroporto di Roma, oltretutto era una bellissima giornata di sole.
Come si sa da Roma a Tokyo ci voglio tante ore, senza considerare 2 ore di ritardo alla partenza da Roma, con 14 ore ci si fa. Lo scalo a Mosca è stato fulmineo e i pasti in aereo della compagnia Aeroflot sono stati “commestibili”!
L’arrivo a Tokyo è stato eccitantissimo! Nonostante non avessi dormito in aereo avevo una voglia di vedere finalmente questo bellissimo posto! Conservo ancora la foto scattata con il cellulare “welcome to Japan” sopra in kanji Giapponesi e sotto in Inglese! Che carini!
Usciti dall’aereoporto ci siamo dirette subito in hotel “Hotel Fortuna – Kudanshita”. Bellissimo Hotel, in centro, credo molto lussuoso, dato che la Federazione Internazionale di Pole Dance aveva preso tutto lo stabile per loro. Con mio rammarico infatti c’erano pochissimi Jappy all’interno, giusto nella Hall!
La stanchezza non s’è fatta attendere, appena mollate le valige in camera mi sono appoggiata al letto, il mondo dei sogni mi attendeva! Ma non avevo considerato Sara e la Manager che subito mi sono venute a bussare alla porta per vedere se la mia camera fosse diversa.
Dopo la tragedia, Simona si era offerta di accompagnare Sara, non certo come sostituta di Fede, ma perché sicuramente avremmo avuto bisogno di un sostegno in più, anche adesso credo che da quel punto di vista sia stato un bene ci fosse stata anche lei. Ovviamente io e Simona non ci conoscevamo, e ha chiesto che venisse messa in camera con Sara piuttosto che con me, non la biasimo di certo. Ma francamente Sara aveva bisogno di concentrarsi, e stare da sola sarebbe stato utile per il risultato finale.
Dopo il giro di camere ci siamo cambiate e siamo andate a trovare la cugina di Sara, che vive a Tokyo da un bel po’ d’anni e si era offerta di darci qualche info sul posto. Francesca lavora come insegnante di Italiano in una scuola privata nell’edificio dell’ambasciata Italiana. Quella sera c’era una specie di festa all’Italiana, con musica e addirittura un rinfresco con prodotti Italiani. Un grande evento per loro, figuratevi per noi che eravamo appena arrivate quanta gola ci faceva il prosciutto, o la pasta al forno, o i vari formaggi… se me lo chiedevate dopo 10 giorni vi avrei risposto con l’acquolina in bocca.
A quella festa abbiamo potuto assistere quanto la nostra cultura sia amata, e i nostri prodotti apprezzati.
Non avevo granchè fame, sapevo che dopo la festa c’era in programma di andare in un ristorante per mangiare finalmente sushi quindi non mi sono impegnata molto, ma fare la fila 2 o 3 volte mi ha fatto passare l’appetito. Spintoni ovunque e si stava tutti appiccicati, seguendo la fila in ordine, guai se uno di loro sgarrava, ma se a farlo eravamo noi nessuno ci diceva nulla.
Dopo aver parlato con un paio di signore che voleva provare i loro studi italiani, ci siamo dileguate con Francesca che ci ha accompagnate in un Family Market. Al piano di sopra si poteva prendere qualcosa da mangiare, e le bevande erano illimitate. Dato che non c’era sushi, mi sono limitata a prendere un thè (acquoso) e nient’altro. Così Francesca ci ha ordinato un po’ di cose e ci ha spiegato un po’ delle loro usanze. La loro reverenza verso le persone occidentali e la loro venerazione per i nostri tratti somatici e la nostra cultura. Ci spiegava che loro hanno ben definito nella loro mentalità la divisione per classi, ovviamente se sei povero stai nella classe più bassa, se hai un reddito medio hai una media reputazione e quindi medio rispetto, se sei un dirigente e un businessman hai un massimo rispetto. Anche il matrimonio è considerato un “affare”, ci spiegava che quando un uomo, vuole sposare una donna, deve andare dal padre e fargli vedere i suoi valori economici, presentarsi quindi con busta paga, estratto conto e promesse di stabilità finanziaria utili a garantire una vita onorevole alla figlia. Considerate che se a chiedere in sposa la figlia invece di uno dei più ricchi giapponesi ci fosse un povero straccione italiano, ma con capelli biondi e occhi azzurri, la scelta non cadrà sul grande uomo d’affari. Questo per farvi capire che tipo di venerazione hanno per noi, ci considerano quasi alla stregua degli dei. Considerate che noi eravamo 3 donne, 2 bionde una castana e tutte con gli occhi chiari. Come ci avranno trattato nel nostro soggiorno!?
Ci è stato suggerito anche determinati comportamenti “onorevoli” da tenere con loro, io curiosa come sono e innamorata di questa cultura volevo ascoltare se li sapevo tutti e tante cose che sapevo e mi sono state dette mi sono state poi chiare durante il mio soggiorno a Tokyo, e tante cose mi sono state utili per rapportarmi alle persone del posto.
Prima tra tutte mi sono fatta spiegare passo passo l’azione del biglietto da visita, quando lo ricevi e quando lo dai. È una cosa buffissima, ma divertentissima, e capito il significato, molto professionale e rispettosa. Si deve porgere il proprio biglietto da visita con il verso di lettura opposta alla nostra, tenendolo con entrambe le mani i pollici riversi in su, mentre si porge fare un inchino. Quando si prende, sempre con entrambe le mani, soffermarsi qualche secondo a leggere il nome della persona e la compagnia per cui lavora fare un inchino e ringraziare. Bellissimo! Quando ho avuto l’occasione di farlo mi sentivo un idiota, ma l’imbarazzo è sparito quando ho visto che l’altra persona ha apprezzato.
Altra cosa importante, non ci si soffia il naso davanti a loro, è una cosa che per noi può essere paragonata al rutto a tavola, cosa che per loro è “normale”. I peti e i rutti per loro sono espletamenti naturali di cui non ci si deve vergognare, immaginatevi come ci siamo sentite io e Simona che mentre si mangiava un fagottino di riso sedute in una panchina con le bacchette, abbiamo visto una persona di fronte a noi, che ci guardava male, inclinarsi di lato e sganciare un rumoroso peto. Poi abbiamo capito anche, che non si mangia per le strade, è maleducazione per loro, un suggerimento ce lo potevano dare anche l’assenza assoluta dei cestini tipici nelle nostre strade.
Purtroppo il fuso orario e la stanchezza si sono impadronite di me, il sostegno che mi ero creata con le braccia non hanno impedito che con un bel tonfo la mia testa cadesse sul tavolino, così dopo la bellissima figuraccia, salutando, mi sono dileguata in Hotel, lasciano le cugine e Simona dirette in uno dei tanti supermarket aperti 24H.
L’incontro con i bagni degli hotel è un esperienza favolosa, e chiunque visiterà questo bellissimo paese noterà subito queste “bellissime stranezze”. Non c’è il bidè per potersi lavare le parti intime, ma sono dotati di gabinetto con getto d’acqua, uno per il sedere e uno per i genitali femminili, una goduria. Provare per credere. Da me c’era la vasca da bagno con la possibilità di farsi comunque la doccia. Non mi facevo il bagno da non so quanti anni, una sera ho approfittato. Poi nel nostro hotel c’era di tutto, dalla lametta per farsi la barba, o la depilazione per le gambe per le signore, lo spazzolino da denti con dentifricio, i cottonfioc per le orecchie, la spazzola, il phon, sapone, shampo, doccia/bagno schiuma e addirittura il balsamo. In dotazione ci avevano dato anche un pigiama, che mi sapeva molto di carcerato, ma per quel soggiorno io mi ero portata il pigiama con i canini di pile che mi aveva regalato Fede, e non avevo intenzione di sostituirlo.
Mi sono tecnologicamente sistemata, posizionato il mac e subito collegato ad internet, messo le batterie a caricare compreso il cellulare, dopo una chiacchierata con l’utilissimo skype me ne sono andata a letto, dimenticandomi nuovamente delle mie compagne che sono venute a darmi la buona notte. Una bella dormita ci voleva proprio.
Al mattino la colazione era sempre strana, sul tavolo potevi prenderti di tutto, ma di certo quello che meglio si adeguava al mio stile di vita era quella “in fondo”, fette biscottate, burro marmellata, latte e aranciata. Poi se avevi lo stomaco potevi mangiarti: Cetrioli a fette con salsina rosa/giallina di cui ignoro gli ingredienti, insalata, uova sode e altre verdurine tra cui il cavolo. C’erano anche delle brioches ma erano sofficissime e si scioglievano in bocca, che in poche parole non erano per niente d’aiuto ad affrontare la giornata, quindi ne prendevo solo una per sfizio. Il loro zucchero ha la consistenza a metà tra in nostro zucchero a velo e il talco, una cosa stupefacente ma che non ti da effetti immediati.
Le poche mattine che abbiamo fatto colazione lì siamo state sempre fortunate, abbiamo parlato sempre con tanta bella gente, alcune della Pole dance ed alcuni esterni, io ad esempio mi sono ritrovata un irlandese in ascensore che non perdeva occasione per scambiare qualche parola, è bello parlare una lingua universale come l’inglese e riuscire a capire le diverse pronunce provenienti dai diversi paesi. Ma non c’è niente di più buffo e divertente che ascoltare delle persone orientali cercare di parlare inglese, la Simona l’ultima sera ha rinunciato e mi ha detto “parlaci te, mi sa che il mio inglese è troppo raffinato per loro, te li capisci meglio!”. Purtroppo o per fortuna, il loro bello è proprio quello, non sono in grado di pronunciare la parola “R” e quindi devi intuire quello che ti vogliono dire, e l’inglese dei giapponesi è veramente pessimo, ne conoscono pochissimo, in pochi ne parlano e se lo parlano, lo parlano malissimo. Ma io li amo per questo, perché è quando una persona è in difficoltà si capisce di che pasta è fatta.
I giapponesi sono persone che a prescindere vogliono aiutare il prossimo, cercano sempre di essere d’aiuto. Anche se non sanno parlare Inglese con la lingua universale del corpo si fanno capire, devi andare a dritto, indicano di fronte a voi. a destra? mano a destra. sinistra? Mano a sinistra. Alla fine chiunque per spirito di sopravvivenza usa questo linguaggio. Durante il nostro soggiorno abbiamo potuto godere di questa loro generosità, altruismo e onestà.
A Tokyo ci sono 2 compagnie della Metro, noi l’abbiamo capito solo dopo 3 gg: se entravamo dalla stazione di Kudanshita ma dovevamo andare a sud, dovevamo cambiare compagnia, peccato che se entri in una compagnia e esci subito, ma nell’altra compagnia vieni bloccato. La prima volta che ci successe, io mi bloccai ovviamente la mia reazione è stata di stupore, e come per magia, ecco il mio salvatore, un signore con la sua 24H sulla 50ina (credo, perché è difficile dare un’età ad un orientale) che ci viene in aiuto, mi dice se può essermi d’aiuto e io dico che non so qual è il problema, lui mi dice di seguirlo, mi porta di fronte alla stanza di controllo, dice un po’ di parole in giapponese e l’addetto ci fa segno che possiamo entrare, senza dover passare di nuovo il nostro biglietto. Non so quante volte si è inchinato, alla fine quelle che avevano sbagliato eravamo noi, ma qualcosa mi dice che quel signore doveva essere un pezzo grosso.
Nella stessa situazione mi sono ritrovata quando da sola, la sera mi sono separata da Simona e Sara perché avevano deciso di passare la serata in un ristorante, francamente per come sono io non avevo voglia di perdere le mie ore in una taverna a bere, finito di mangiare mi sono dileguata alla ricerca della Tokyo Tower. Entrata in Metro non ricordo in che zona ero, dovevo trovare qualcuno che mi indicasse a che stazione si trovasse la Tokyo Tower, in albergo mi avevano indicato 2 stazioni vicine, quindi era questione di capire dove mi trovassi e cercare il percorso migliore, tanto avevamo fatto il tiket giornaliero. Come alzo la testa per leggere il posto e cercarlo nella cartina, alla seconda alzata di testa mi si avvicina una ragazza, che mi dice che lei sta prendendo la stessa linea e di seguirla. Era in compagnia della sua amica, anche lei insegnante, una di inglese, e l’altra di inglese e francese in una scuola privata, una dai tratti occidentali e lei con occhi a mandorla, ma si vantava di avere il nonno occidentale. Una Francesce, e l’altra cinese ma che era nata in Francia, per studio si erano trasferite a Tokyo e poi han deciso di rimanerci. Che scelta difficile, io ho sempre sognato di vivere a Tokyo, e nonostante fosse solo il 2° giorno che ero lì ne ero più convinta. Così parlando mi hanno indicato la zona e la via migliore da prendere e poi arrivata alla mia fermata gentilmente e nipponicamente mi hanno salutato, che carine. Uscire dalla metro è stato un trauma, non riuscivo a vedere la torre, dato che sapevo fosse grande speravo di vederla, e così, altro giro altra mano, ho chiesto aiuto ai passanti. Buffi, quando chiedi loro se sanno parlare in inglese, e ti schivano e si inchinano per la loro ignoranza, o forse credevano fossi un’addescatrice di uomini vista l’ora tarda.
Fortunatamente Tokyo Tower è un nome molto usato, quindi un’intuitivo ha capito cosa cercavo, mi ha indicato la via. Un emozione bellissima, come mi sono affacciata, e nel riflesso di uno stabile, ho visto quel bellissimo monumento illuminato di rosso, ho avuto un blocco. Mi sono fermata, toglieva il fiato. Ciò per cui da bambina strabuzzavo gli occhi e sognavo ad occhi aperti era lì, davanti a me. Poi mi è stato detto che avrei dovuto camminare per 30 min prima di arrivare da lei. Perché Tokyo non è come Londra, da una fermata e l’altra c’è da camminare parecchio, non sono vicine. Chissene, tanto sapevo della famosa sicurezza della capitale, quindi non mi sono creata problemi, mi sono incamminata. Per la via ho fotografato anche un negozio dove fuori aveva scatole e giornali, con una bicicletta senza catena appoggiata al muro, cosa che se succede in Italia dopo 5 minuti è sparito tutto, ma si sa, loro sono la personificazione dell’onestà. Arrivata alla Tokyo Tower mi sono persa nel fotografarla, la strada era quasi deserta, c’era giusto un gruppetto di ragazzini che però non mi hanno rivolto la parola, peccato, avrei fatto volentieri amicizia con loro, ma si sa, i Giapponesi sono anche molto timidi.
Un altro giorno mi ero ostinata a trovare uno negozio “tutto a 100 Yen” so da Nana che esistevano e quindi lo volevo vedere assolutamente, anche perché a Tokyo è tutto carissimissimo! Per riuscire a trovarlo mi sono avvalsa dell’aiuto di un passante, che veniva verso di me, ho chiesto del negozio, e lui molto gentilmente non si è limitato a indicarcelo, ma ci ci ha addirittura accompagnato, e dire che lui andava nella direzione opposta.
Un esempio di onestà lo abbiamo avuto quando dopo una giornata di allenamenti per Sara siamo andate alla ricerca di un ristorante tipico Giapponese, in un vicolo avevamo visto l’entrata tipicamente di legno, con il sale all’esterno, e il bambù che risuonava allo scendere dell’acqua, così abbiamo deciso di entrare. Ci ha accolto una Gheisha che molto gentilmente ci ha informate dei loro menu a prezzo fisso, il più economico costava 100 euro quindi molto gentilmente ci siamo congedate. Io però ammaliata da tanta bellezza mi sono lanciata in una conversazione super lusinghiera verso di lei, le sue colleghe, i vestiti e il bellissimo obi che portava, di seta con motivi floreali di cui riconoscevo Sakura. Lei mi ha ringraziato e ricordato che bellissime eravamo noi perché bionde e occhi azzurri ma soprattutto occidentali. 5 minuti di ruffianaggine ma per me molto importanti.
Abbiamo visitato diversi ristoranti, tutti vicino alla palestra dove si allenava Sara, in uno ci hanno fatto sedere al bancone e il cuoco sempre sorridente preparava il sushi davanti a noi, così ho potuto scoprire perché mi ritrovavo tanto wasabi nel sushi, loro lo mettono anche tra riso e filetto di pesce, da noi non usa, si mette solo nella mischiato alla salsa di Soia. In un altro ho mangiato il Ramen ma fatti la pasta quella bianca, gommosa condita con l’uovo crudo, io non digerisco molto l’uovo. Il top lo abbiamo trovato il primo giorno siamo entrate in un tipico ristorantino giapponese, con le tendine e la porta di legno che si apre trascinandola. Lì ho mangiato il ramen più buono in assoluto. Spaghetti di grano scuro e un brodo favoloso. È stato anche il giorno in cui siamo andati a visitare la Soka Gakkai, il contro buttista di Tokyo, famoso per l’aiuto di Roberto Baggio, essere italiani per loro è ancora più che un onore. Come prima tappa la Sara si era data il centro, perché aveva scritto una lettera al suo maestro Nichiren e gli aveva portato in dono, una farfalla di coccio seguita da una foto di Fede. Nonostante non sono buddista, e in quel periodo non potevo credere più a niente e nessuno, entrare lì è stato magico, mistico. Un senso di pace che ti avvolge e che ti accoglie, positività allo stato puro. La “segretaria” che ci ha accolto è stata molto gentile e paziente, Sara non sa parlare molto bene inglese e nonostante noi traducessimo lei volevo usare parole semplici e comprensibili per parlare direttamente con lei. La carica che le ha dato è stata sicuramente importante per tutto il nostro viaggio e anche per me che in quel periodo ero semplicemente un ameba è servito, credo sempre nella bontà delle persone, sia perché i manga con cui sono cresciuta lo decantavano facendomi credere fermamente, sia perché ne ho conosciuto uno puro di cuore. Dopo la chiacchierata siamo andati un una tipica stanza di preghiera buddista, e lì c’era la pergamena più grande che abbia mai visto, la Sara mi ha spiegato un po’ la loro cultura, affascinante. Ascoltare loro che pregano è soporifero, dopo mezz’ora ciondolavo con il collo, la stanchezza si era impadronita di me…o forse era la “ninna-nanna” che faceva effetto! Fatto sta, che è stato interessante ascoltarli e vedere come pregano. Abbiamo visitato anche un tempio Shintoista (presumo) dove dovevi agitare il cordone dentro la campana, “applaudire” fortemente e congiungere le mani, credo dicendo una preghiera…cosa che ho visto fare solo negli Anime!
Abbiamo potuto assaporare anche la mondanità Giapponese, perché lo staff della Pole Dance aveva organizzato 2 serate a tema in 2 locali. La prima sera “Burlesque Party”: noi eravamo preparate, corsetti e accessori propri dello stile, invece gli altri NO, infatti per tutta la sera ci hanno fatto un sacco di complimenti per lo stile e il gusto degli accessori. Siamo Italiani, abbiamo lo stile dentro. La seconda serata era intitolata “Fashion Tokyo”, bhà di shashion non aveva nulla, infatti ci siamo limitate ad essere eleganti, i giapponesi hanno uno stile un po’ “trasandato” le ragazzine hanno dei corpicini esili e minuti, ma vestono con maglie larghe e poco femminili, per fortuna che hanno i tacchi.
A shibuya puoi trovare le ragazze veramente Fashion, nel 109 e nel 109bis ti ritrovi commesse super fighe truccatissime, con ciglia finte e lenti a contatto che ingrossano l’occhio, se non con un colore diverso, che ogni volta che varcherai la linea immaginaria di confine del loro negozio ti daranno il benvenuto e l’arrivederci tutte le volte a seconda dell’occasione e con un volume di voce che puoi trovare ai mercati. Fanstastiche, favolose semplicemente bellissime. Anche in questo centro commerciale abbiamo trovato ragazze che ci riempivano di complimenti per i nostri tratti somatici, una s’è vantata d’avere il nonno tedesco e mi ha consigliato le ciglia finte che aveva lei, io ruffiana quale sono le ho detto che stavano meglio a lei, ma poi ci siamo perse in complimenti smielosi. Non ci posso fare nulla, io adoro le giapponesi, i giapponesi e la loro cultura.
La serata più forte è stata quello dello spettacolo, dell’esibizione della Sara, dove io con 2 corpi macchina con 2 obbiettivi lunghi, fotografavo costantemente ogni suo movimento. E in 3 minuti è veramente una cosa fulminea da fare, ci vogliono nervi saldi e concentrazione, cosa che ho subito vacillato prendendo la sua macchina fotografica in mano, mi ha scatenato un pianto isterico che solo grazie alla consapevolezza che lui mi avrebbe brontolato, ho potuto fermare. Adesso toccava a me, e dovevo fare il mio dovere; come Sara che, ironia della sorte, aveva portato come coreografia la storia di una farfalla che nasce dal bozzolo, compie le sue evoluzioni e poi muore. Questa coreografia creata prima dell’intervista raccontava esattamente la vita di Fede. Un essere così bello, così radioso, che con la sua generosità rallegrava la vita di chiunque incontrasse nel suo cammino, ci ha accecato con la sua bontà e d’improvviso ci ha catapultato nel buio più nero. L’esibizione della Sara è stata magnifica, incantevole, io sono subito scoppiata a piangere e il fotografo che avevo appena conosciuto e con cui avevo appena fatto amicizia mi disse che devo sfogarmi e che dovevo andare da Sara. Lì nel camerino, con un pianto che sa solo di sfogo per lo stress e la tensione accumulata, riceve tanti complimenti per una performance insolita per l’ambiente, che è basato principalmente sulla forza fisica. Uno spettacolo allo stato puro. Gli spettatori si sono alzati e avvicinati al palco per poter vedere meglio, mentre facevo le foto sentivo i loro commenti e capivo che il messaggio della vita e della morte era arrivato, rimasero estasiati e i giapponesi con il loro tipico “oooooooooooooo” prolungato palesavano la coreografia. I conduttori della serata si complimentano direttamente con lei in camerino, come gran parte dello staff e dei suoi colleghi. Il risultato finale alla fine non conta, un 8° posto è comunque ottimo traguardo per una ragazza di 33 anni che solo da un anno ha intrapreso questa nuova disciplina, ma la maggiore soddisfazione è stIn questa pagina lo splendido diario inviato da Sara, in Giappone ricordando Fede.
Ho intrapreso questo viaggio per rispettare 2 promesse: la prima, quella fatta tanto tempo fa a me stessa, quando ero bambina e guardando i cartoni animati Giapponesi desideravo ardentemente poter visitare un giorno quel bellissimo posto; la seconda, quella fatta ad un carissimo amico, che poco più di un mese prima del mio arrivo a Tokyo ha deciso di lasciarci…di lasciare me, e sua sorella, ad affrontare “l’evento Tokyo”!
Mi chiamo Sara, ho 27 anni e da poco più di 3 anni ho la passione della Fotografia, arte che mi ha dato tante soddisfazioni e mi ha fatto incontrare persone stupende. Federico era una di queste.
Sua sorella, Sara pure lei, vincendo il campionato italiano Pole Dance a luglio si era aggiudicata la possibilità di rappresentare l’Italia alla finale mondiale che si sarebbe tenuta in Giappone, precisamente a Tokyo! La città di Sailor Moon, e di Nana le mie adorate beneamine dei famosi Anime e Manga.
Federico era tanto entusiasta di questa vincita, si potrebbe dire che toccava il cielo con un dito, poter seguire sua sorella in questa fantastica avventura lo entusiasmava tantissimo; più dell’intraprendere un nuovo viaggio come successo per il Laos e la Cambogia, o nel ritornare nella sua amata Africa dove lui aveva lasciato il cuore!
Quando ci conoscemmo ancora non sapeva del mio amore per il Giappone, ma lui condivideva con me l’amore e la passione che la fotografia comporta. Un giorno di settembre, durante una conferenza stampa a sua sorella nel nostro paese, dove io e Federico facevamo le foto di reportage, sia Sara che Federico mi chiesero di seguirli in questa avventura: Tokyo!
Immaginate la mia immaginazione fino a dove è arrivata a pensare al sì! Ovviamente però dovevo tenere in considerazione tanti punti come il lavoro, il mio ragazzo e soprattutto la spesa economica.
Chissà perché però, tutto decadeva, se pensavo alla mia Tokyo, quella che ho sempre immaginato attraverso quei disegni, alla sensazione bellissima che avrei provato ad essere finalmente lì, con i miei “fratelli” giapponesi. Un po’ di giapponese lo conosco, dopo tutti gli anime in lingua madre che mi sono vista, un po’ di parole le ho imparate, ma ovviamente è nulla se volessi intrattenere una conversazione con loro, quindi avrei confidato in quell’inglese che il marzo precedente avevo allenato a Londra insieme ad altri ragazzi orientali.
Il SI s’è fatto attendere solo un mesetto, giusto per capire quanto tempo mi fosse stato necessario per ottenere il passaporto. Lo stesso giorno che andammo a portare i documenti alla questura di Arezzo prenotai anche il volo per Tokyo.
Oramai con Fede quasi tutti i giorni si pensava, si studiava e si organizzava la nostra futura trasferta a Tokyo. Sicuramente Sara avrebbe dovuto stare dietro all’organizzazione della Pole Dance, ma Fede mi diceva che non c’era da preoccuparsi, che sua sorella era grande e che non c’era bisogno di stare con lei tutto il giorno, anche se io non ero molto d’accordo, però l’idea di andare a visitare Tokyo e poter scattare tutte le foto che volevamo era molto allettante.
L’Hotel era stato sistemato e addirittura il passaporto era arrivato, era tutto stato deciso, nei minimi particolari, eravamo più che entusiasti, eravamo una bella compagnia affiatata già prima di partire, c’era solo bisogno di mettersi a sedere ed aspettare il 4 dicembre 2010 per prendere l’aereo da Roma e partire, destinazione Giappone.
Poi, quel giorno, quella mattina…
Ci dovevamo trovare tutti alla fiera del 1° novembre che tutti gli anni si tiene a Perugia, ci eravamo sentiti la sera prima sul tardi, salutandoci e con la promessa che il giorno dopo ci saremo visti là, direttamente lì, alla fiera.
Quella mattina, alle 10.30 l’Alessandra mi manda un messaggio, chiedendomi se per caso avessi sentito Fede, avevano appuntamento a casa sua alle 8.30 ma ancora non era arrivato, STRANO! Le dico che quasi sicuramente non ha sentito la sveglia e che starà poltrendo, ultimamente si faceva sempre tardi e quindi aveva anche bisogno di dormire, visto il lavoro da ambulante che faceva. Provo a chiamarlo io, quando lo chiamavo io era certo che mi rispondeva, ma nulla! Mentre con il mio ragazzo andavo verso Perugia mi era venuta la voglia di chiedergli di passare per casa di Fede, ma questo avrebbe comportato troppe domande, quindi ho lasciato che lui mi portasse a Perugia. Per la via però prendo la decisione di chiamare sua sorella, che vive a Roma ma che mi ha potuto dare il numero di casa di sua nonna, dove Fede dormiva. Dopo un come stai, e un augurio per una pronta guarigione da un raffreddore, ci salutiamo con un bel “ci vediamo a dicembre per Tokyo”. Ovviamente dopo chiamo a casa della Nonna di Fede, è lei a rispondermi:
“Pronto, ciao, sono la Sara dov’è Fede”
in sottofondo “chi è?”
la nonna “è la Sara, ooooh Sara… Fede non c’è”
“come non c’è? È andato via?non mi risponde, ci dovevamo vedere qui a Perugia, io sono appena arrivata”
“Sara, Fede non c’è più, se n’è andato”
“Come se n’è andato?dov’è andato?”
“Sara, Fede è in camera”
“ah, allora dorme?”
“No, è morto…” O_O
Ricordo tutto benissimo, tutto mi è chiaro… le urla, le lacrime, l’incredulità, il senso di abbandono, di impotenza… e la rabbia, quella che ti assale e non ragioni più, ma che quando hai finito le lacrime e tutte le attenuanti, non ti abbandona. Un’unica consapevolezza mi era fin troppo chiara alla fine di quella giornata: io a Tokyo ci sarei andata… con o senza la Sara. Era il nostro viaggio, e io ci sarei andata: per me, per lui!
Un mese è stato lungo, ma anche troppo corto, un mese per assorbire quel dolore che ti tiene a terra, che non ti fa respirare, è relativamente poco ma ce la dovevo fare!
Le prime 2 settimane sono state le più buie.
I primi giorni si è più increduli, speri che sia solo un brutto sogno. Che da un momento all’altro ti sbuchi fuori con una rumorosa risata, dicendoti che è tutto falso, che non è vero (ancora stento a crederci). I giorni seguenti, sentendo i medici che giustificano la sua assenza con un “malfunzionamento” al cuore (infarto/ictus) ascolti impotente come anestetizzata. Dopo il funerale forse qualcosa nella tua testa inizia ad incasellare l’accaduto, ma non ci vuoi credere perché non è “possibile”. Non è giusto, non è reale…come può una persona, che dà incondizionatamente, che fino a qualche giorno prima saltava da muro a muro per potersi arrampicare che attraversa fiumi e scala montagne, poter andare via così, durante il sonno? Tutt’ora non c’è spiegazione. La scusa delle troppe sigarette, dei troppi caffè e dei casi già successi in famiglia non sono accettabili.
Tokyo era quello che ci voleva.
Il mio compito di lì ad un mese era “riprendermi” essere forte e fare quello che doveva essere fatto.
Accompagnare sua sorella, fare quello che avrebbe dovuto fare Fede: sostenerla, incoraggiarla, e fotografarla.
Un mio amico in quel mese buio mi disse: “ tu pensa, se non lo avessi conosciuto, Sara adesso starebbe soffrendo il doppio, invece Fede ti ha affidato lei, non essere egoista, fai quello che lui ti chiederà di sicuro di fare, vai e falle tante foto…”
Il giorno della partenza tutto è andato per il meglio, mi sono svegliata presto, ho preso il treno che non ha ritardato, mi sono trovata con Sara, siamo andate a casa della sua Manager e insieme siamo andate all’aeroporto di Roma, oltretutto era una bellissima giornata di sole.
Come si sa da Roma a Tokyo ci voglio tante ore, senza considerare 2 ore di ritardo alla partenza da Roma, con 14 ore ci si fa. Lo scalo a Mosca è stato fulmineo e i pasti in aereo della compagnia Aeroflot sono stati “commestibili”!
L’arrivo a Tokyo è stato eccitantissimo! Nonostante non avessi dormito in aereo avevo una voglia di vedere finalmente questo bellissimo posto! Conservo ancora la foto scattata con il cellulare “welcome to Japan” sopra in kanji Giapponesi e sotto in Inglese! Che carini!
Usciti dall’aereoporto ci siamo dirette subito in hotel “Hotel Fortuna – Kudanshita”. Bellissimo Hotel, in centro, credo molto lussuoso, dato che la Federazione Internazionale di Pole Dance aveva preso tutto lo stabile per loro. Con mio rammarico infatti c’erano pochissimi Jappy all’interno, giusto nella Hall!
La stanchezza non s’è fatta attendere, appena mollate le valige in camera mi sono appoggiata al letto, il mondo dei sogni mi attendeva! Ma non avevo considerato Sara e la Manager che subito mi sono venute a bussare alla porta per vedere se la mia camera fosse diversa.
Dopo la tragedia, Simona si era offerta di accompagnare Sara, non certo come sostituta di Fede, ma perché sicuramente avremmo avuto bisogno di un sostegno in più, anche adesso credo che da quel punto di vista sia stato un bene ci fosse stata anche lei. Ovviamente io e Simona non ci conoscevamo, e ha chiesto che venisse messa in camera con Sara piuttosto che con me, non la biasimo di certo. Ma francamente Sara aveva bisogno di concentrarsi, e stare da sola sarebbe stato utile per il risultato finale.
Dopo il giro di camere ci siamo cambiate e siamo andate a trovare la cugina di Sara, che vive a Tokyo da un bel po’ d’anni e si era offerta di darci qualche info sul posto. Francesca lavora come insegnante di Italiano in una scuola privata nell’edificio dell’ambasciata Italiana. Quella sera c’era una specie di festa all’Italiana, con musica e addirittura un rinfresco con prodotti Italiani. Un grande evento per loro, figuratevi per noi che eravamo appena arrivate quanta gola ci faceva il prosciutto, o la pasta al forno, o i vari formaggi… se me lo chiedevate dopo 10 giorni vi avrei risposto con l’acquolina in bocca.
A quella festa abbiamo potuto assistere quanto la nostra cultura sia amata, e i nostri prodotti apprezzati.
Non avevo granchè fame, sapevo che dopo la festa c’era in programma di andare in un ristorante per mangiare finalmente sushi quindi non mi sono impegnata molto, ma fare la fila 2 o 3 volte mi ha fatto passare l’appetito. Spintoni ovunque e si stava tutti appiccicati, seguendo la fila in ordine, guai se uno di loro sgarrava, ma se a farlo eravamo noi nessuno ci diceva nulla.
Dopo aver parlato con un paio di signore che voleva provare i loro studi italiani, ci siamo dileguate con Francesca che ci ha accompagnate in un Family Market. Al piano di sopra si poteva prendere qualcosa da mangiare, e le bevande erano illimitate. Dato che non c’era sushi, mi sono limitata a prendere un thè (acquoso) e nient’altro. Così Francesca ci ha ordinato un po’ di cose e ci ha spiegato un po’ delle loro usanze. La loro reverenza verso le persone occidentali e la loro venerazione per i nostri tratti somatici e la nostra cultura. Ci spiegava che loro hanno ben definito nella loro mentalità la divisione per classi, ovviamente se sei povero stai nella classe più bassa, se hai un reddito medio hai una media reputazione e quindi medio rispetto, se sei un dirigente e un businessman hai un massimo rispetto. Anche il matrimonio è considerato un “affare”, ci spiegava che quando un uomo, vuole sposare una donna, deve andare dal padre e fargli vedere i suoi valori economici, presentarsi quindi con busta paga, estratto conto e promesse di stabilità finanziaria utili a garantire una vita onorevole alla figlia. Considerate che se a chiedere in sposa la figlia invece di uno dei più ricchi giapponesi ci fosse un povero straccione italiano, ma con capelli biondi e occhi azzurri, la scelta non cadrà sul grande uomo d’affari. Questo per farvi capire che tipo di venerazione hanno per noi, ci considerano quasi alla stregua degli dei. Considerate che noi eravamo 3 donne, 2 bionde una castana e tutte con gli occhi chiari. Come ci avranno trattato nel nostro soggiorno!?
Ci è stato suggerito anche determinati comportamenti “onorevoli” da tenere con loro, io curiosa come sono e innamorata di questa cultura volevo ascoltare se li sapevo tutti e tante cose che sapevo e mi sono state dette mi sono state poi chiare durante il mio soggiorno a Tokyo, e tante cose mi sono state utili per rapportarmi alle persone del posto.
Prima tra tutte mi sono fatta spiegare passo passo l’azione del biglietto da visita, quando lo ricevi e quando lo dai. È una cosa buffissima, ma divertentissima, e capito il significato, molto professionale e rispettosa. Si deve porgere il proprio biglietto da visita con il verso di lettura opposta alla nostra, tenendolo con entrambe le mani i pollici riversi in su, mentre si porge fare un inchino. Quando si prende, sempre con entrambe le mani, soffermarsi qualche secondo a leggere il nome della persona e la compagnia per cui lavora fare un inchino e ringraziare. Bellissimo! Quando ho avuto l’occasione di farlo mi sentivo un idiota, ma l’imbarazzo è sparito quando ho visto che l’altra persona ha apprezzato.
Altra cosa importante, non ci si soffia il naso davanti a loro, è una cosa che per noi può essere paragonata al rutto a tavola, cosa che per loro è “normale”. I peti e i rutti per loro sono espletamenti naturali di cui non ci si deve vergognare, immaginatevi come ci siamo sentite io e Simona che mentre si mangiava un fagottino di riso sedute in una panchina con le bacchette, abbiamo visto una persona di fronte a noi, che ci guardava male, inclinarsi di lato e sganciare un rumoroso peto. Poi abbiamo capito anche, che non si mangia per le strade, è maleducazione per loro, un suggerimento ce lo potevano dare anche l’assenza assoluta dei cestini tipici nelle nostre strade.
Purtroppo il fuso orario e la stanchezza si sono impadronite di me, il sostegno che mi ero creata con le braccia non hanno impedito che con un bel tonfo la mia testa cadesse sul tavolino, così dopo la bellissima figuraccia, salutando, mi sono dileguata in Hotel, lasciano le cugine e Simona dirette in uno dei tanti supermarket aperti 24H.
L’incontro con i bagni degli hotel è un esperienza favolosa, e chiunque visiterà questo bellissimo paese noterà subito queste “bellissime stranezze”. Non c’è il bidè per potersi lavare le parti intime, ma sono dotati di gabinetto con getto d’acqua, uno per il sedere e uno per i genitali femminili, una goduria. Provare per credere. Da me c’era la vasca da bagno con la possibilità di farsi comunque la doccia. Non mi facevo il bagno da non so quanti anni, una sera ho approfittato. Poi nel nostro hotel c’era di tutto, dalla lametta per farsi la barba, o la depilazione per le gambe per le signore, lo spazzolino da denti con dentifricio, i cottonfioc per le orecchie, la spazzola, il phon, sapone, shampo, doccia/bagno schiuma e addirittura il balsamo. In dotazione ci avevano dato anche un pigiama, che mi sapeva molto di carcerato, ma per quel soggiorno io mi ero portata il pigiama con i canini di pile che mi aveva regalato Fede, e non avevo intenzione di sostituirlo.
Mi sono tecnologicamente sistemata, posizionato il mac e subito collegato ad internet, messo le batterie a caricare compreso il cellulare, dopo una chiacchierata con l’utilissimo skype me ne sono andata a letto, dimenticandomi nuovamente delle mie compagne che sono venute a darmi la buona notte. Una bella dormita ci voleva proprio.
Al mattino la colazione era sempre strana, sul tavolo potevi prenderti di tutto, ma di certo quello che meglio si adeguava al mio stile di vita era quella “in fondo”, fette biscottate, burro marmellata, latte e aranciata. Poi se avevi lo stomaco potevi mangiarti: Cetrioli a fette con salsina rosa/giallina di cui ignoro gli ingredienti, insalata, uova sode e altre verdurine tra cui il cavolo. C’erano anche delle brioches ma erano sofficissime e si scioglievano in bocca, che in poche parole non erano per niente d’aiuto ad affrontare la giornata, quindi ne prendevo solo una per sfizio. Il loro zucchero ha la consistenza a metà tra in nostro zucchero a velo e il talco, una cosa stupefacente ma che non ti da effetti immediati.
Le poche mattine che abbiamo fatto colazione lì siamo state sempre fortunate, abbiamo parlato sempre con tanta bella gente, alcune della Pole dance ed alcuni esterni, io ad esempio mi sono ritrovata un irlandese in ascensore che non perdeva occasione per scambiare qualche parola, è bello parlare una lingua universale come l’inglese e riuscire a capire le diverse pronunce provenienti dai diversi paesi. Ma non c’è niente di più buffo e divertente che ascoltare delle persone orientali cercare di parlare inglese, la Simona l’ultima sera ha rinunciato e mi ha detto “parlaci te, mi sa che il mio inglese è troppo raffinato per loro, te li capisci meglio!”. Purtroppo o per fortuna, il loro bello è proprio quello, non sono in grado di pronunciare la parola “R” e quindi devi intuire quello che ti vogliono dire, e l’inglese dei giapponesi è veramente pessimo, ne conoscono pochissimo, in pochi ne parlano e se lo parlano, lo parlano malissimo. Ma io li amo per questo, perché è quando una persona è in difficoltà si capisce di che pasta è fatta.
I giapponesi sono persone che a prescindere vogliono aiutare il prossimo, cercano sempre di essere d’aiuto. Anche se non sanno parlare Inglese con la lingua universale del corpo si fanno capire, devi andare a dritto, indicano di fronte a voi. a destra? mano a destra. sinistra? Mano a sinistra. Alla fine chiunque per spirito di sopravvivenza usa questo linguaggio. Durante il nostro soggiorno abbiamo potuto godere di questa loro generosità, altruismo e onestà.
A Tokyo ci sono 2 compagnie della Metro, noi l’abbiamo capito solo dopo 3 gg: se entravamo dalla stazione di Kudanshita ma dovevamo andare a sud, dovevamo cambiare compagnia, peccato che se entri in una compagnia e esci subito, ma nell’altra compagnia vieni bloccato. La prima volta che ci successe, io mi bloccai ovviamente la mia reazione è stata di stupore, e come per magia, ecco il mio salvatore, un signore con la sua 24H sulla 50ina (credo, perché è difficile dare un’età ad un orientale) che ci viene in aiuto, mi dice se può essermi d’aiuto e io dico che non so qual è il problema, lui mi dice di seguirlo, mi porta di fronte alla stanza di controllo, dice un po’ di parole in giapponese e l’addetto ci fa segno che possiamo entrare, senza dover passare di nuovo il nostro biglietto. Non so quante volte si è inchinato, alla fine quelle che avevano sbagliato eravamo noi, ma qualcosa mi dice che quel signore doveva essere un pezzo grosso.
Nella stessa situazione mi sono ritrovata quando da sola, la sera mi sono separata da Simona e Sara perché avevano deciso di passare la serata in un ristorante, francamente per come sono io non avevo voglia di perdere le mie ore in una taverna a bere, finito di mangiare mi sono dileguata alla ricerca della Tokyo Tower. Entrata in Metro non ricordo in che zona ero, dovevo trovare qualcuno che mi indicasse a che stazione si trovasse la Tokyo Tower, in albergo mi avevano indicato 2 stazioni vicine, quindi era questione di capire dove mi trovassi e cercare il percorso migliore, tanto avevamo fatto il tiket giornaliero. Come alzo la testa per leggere il posto e cercarlo nella cartina, alla seconda alzata di testa mi si avvicina una ragazza, che mi dice che lei sta prendendo la stessa linea e di seguirla. Era in compagnia della sua amica, anche lei insegnante, una di inglese, e l’altra di inglese e francese in una scuola privata, una dai tratti occidentali e lei con occhi a mandorla, ma si vantava di avere il nonno occidentale. Una Francesce, e l’altra cinese ma che era nata in Francia, per studio si erano trasferite a Tokyo e poi han deciso di rimanerci. Che scelta difficile, io ho sempre sognato di vivere a Tokyo, e nonostante fosse solo il 2° giorno che ero lì ne ero più convinta. Così parlando mi hanno indicato la zona e la via migliore da prendere e poi arrivata alla mia fermata gentilmente e nipponicamente mi hanno salutato, che carine. Uscire dalla metro è stato un trauma, non riuscivo a vedere la torre, dato che sapevo fosse grande speravo di vederla, e così, altro giro altra mano, ho chiesto aiuto ai passanti. Buffi, quando chiedi loro se sanno parlare in inglese, e ti schivano e si inchinano per la loro ignoranza, o forse credevano fossi un’addescatrice di uomini vista l’ora tarda.
Fortunatamente Tokyo Tower è un nome molto usato, quindi un’intuitivo ha capito cosa cercavo, mi ha indicato la via. Un emozione bellissima, come mi sono affacciata, e nel riflesso di uno stabile, ho visto quel bellissimo monumento illuminato di rosso, ho avuto un blocco. Mi sono fermata, toglieva il fiato. Ciò per cui da bambina strabuzzavo gli occhi e sognavo ad occhi aperti era lì, davanti a me. Poi mi è stato detto che avrei dovuto camminare per 30 min prima di arrivare da lei. Perché Tokyo non è come Londra, da una fermata e l’altra c’è da camminare parecchio, non sono vicine. Chissene, tanto sapevo della famosa sicurezza della capitale, quindi non mi sono creata problemi, mi sono incamminata. Per la via ho fotografato anche un negozio dove fuori aveva scatole e giornali, con una bicicletta senza catena appoggiata al muro, cosa che se succede in Italia dopo 5 minuti è sparito tutto, ma si sa, loro sono la personificazione dell’onestà. Arrivata alla Tokyo Tower mi sono persa nel fotografarla, la strada era quasi deserta, c’era giusto un gruppetto di ragazzini che però non mi hanno rivolto la parola, peccato, avrei fatto volentieri amicizia con loro, ma si sa, i Giapponesi sono anche molto timidi.
Un altro giorno mi ero ostinata a trovare uno negozio “tutto a 100 Yen” so da Nana che esistevano e quindi lo volevo vedere assolutamente, anche perché a Tokyo è tutto carissimissimo! Per riuscire a trovarlo mi sono avvalsa dell’aiuto di un passante, che veniva verso di me, ho chiesto del negozio, e lui molto gentilmente non si è limitato a indicarcelo, ma ci ci ha addirittura accompagnato, e dire che lui andava nella direzione opposta.
Un esempio di onestà lo abbiamo avuto quando dopo una giornata di allenamenti per Sara siamo andate alla ricerca di un ristorante tipico Giapponese, in un vicolo avevamo visto l’entrata tipicamente di legno, con il sale all’esterno, e il bambù che risuonava allo scendere dell’acqua, così abbiamo deciso di entrare. Ci ha accolto una Gheisha che molto gentilmente ci ha informate dei loro menu a prezzo fisso, il più economico costava 100 euro quindi molto gentilmente ci siamo congedate. Io però ammaliata da tanta bellezza mi sono lanciata in una conversazione super lusinghiera verso di lei, le sue colleghe, i vestiti e il bellissimo obi che portava, di seta con motivi floreali di cui riconoscevo Sakura. Lei mi ha ringraziato e ricordato che bellissime eravamo noi perché bionde e occhi azzurri ma soprattutto occidentali. 5 minuti di ruffianaggine ma per me molto importanti.
Abbiamo visitato diversi ristoranti, tutti vicino alla palestra dove si allenava Sara, in uno ci hanno fatto sedere al bancone e il cuoco sempre sorridente preparava il sushi davanti a noi, così ho potuto scoprire perché mi ritrovavo tanto wasabi nel sushi, loro lo mettono anche tra riso e filetto di pesce, da noi non usa, si mette solo nella mischiato alla salsa di Soia. In un altro ho mangiato il Ramen ma fatti la pasta quella bianca, gommosa condita con l’uovo crudo, io non digerisco molto l’uovo. Il top lo abbiamo trovato il primo giorno siamo entrate in un tipico ristorantino giapponese, con le tendine e la porta di legno che si apre trascinandola. Lì ho mangiato il ramen più buono in assoluto. Spaghetti di grano scuro e un brodo favoloso. È stato anche il giorno in cui siamo andati a visitare la Soka Gakkai, il contro buttista di Tokyo, famoso per l’aiuto di Roberto Baggio, essere italiani per loro è ancora più che un onore. Come prima tappa la Sara si era data il centro, perché aveva scritto una lettera al suo maestro Nichiren e gli aveva portato in dono, una farfalla di coccio seguita da una foto di Fede. Nonostante non sono buddista, e in quel periodo non potevo credere più a niente e nessuno, entrare lì è stato magico, mistico. Un senso di pace che ti avvolge e che ti accoglie, positività allo stato puro. La “segretaria” che ci ha accolto è stata molto gentile e paziente, Sara non sa parlare molto bene inglese e nonostante noi traducessimo lei volevo usare parole semplici e comprensibili per parlare direttamente con lei. La carica che le ha dato è stata sicuramente importante per tutto il nostro viaggio e anche per me che in quel periodo ero semplicemente un ameba è servito, credo sempre nella bontà delle persone, sia perché i manga con cui sono cresciuta lo decantavano facendomi credere fermamente, sia perché ne ho conosciuto uno puro di cuore. Dopo la chiacchierata siamo andati un una tipica stanza di preghiera buddista, e lì c’era la pergamena più grande che abbia mai visto, la Sara mi ha spiegato un po’ la loro cultura, affascinante. Ascoltare loro che pregano è soporifero, dopo mezz’ora ciondolavo con il collo, la stanchezza si era impadronita di me…o forse era la “ninna-nanna” che faceva effetto! Fatto sta, che è stato interessante ascoltarli e vedere come pregano. Abbiamo visitato anche un tempio Shintoista (presumo) dove dovevi agitare il cordone dentro la campana, “applaudire” fortemente e congiungere le mani, credo dicendo una preghiera…cosa che ho visto fare solo negli Anime!
Abbiamo potuto assaporare anche la mondanità Giapponese, perché lo staff della Pole Dance aveva organizzato 2 serate a tema in 2 locali. La prima sera “Burlesque Party”: noi eravamo preparate, corsetti e accessori propri dello stile, invece gli altri NO, infatti per tutta la sera ci hanno fatto un sacco di complimenti per lo stile e il gusto degli accessori. Siamo Italiani, abbiamo lo stile dentro. La seconda serata era intitolata “Fashion Tokyo”, bhà di shashion non aveva nulla, infatti ci siamo limitate ad essere eleganti, i giapponesi hanno uno stile un po’ “trasandato” le ragazzine hanno dei corpicini esili e minuti, ma vestono con maglie larghe e poco femminili, per fortuna che hanno i tacchi.
A shibuya puoi trovare le ragazze veramente Fashion, nel 109 e nel 109bis ti ritrovi commesse super fighe truccatissime, con ciglia finte e lenti a contatto che ingrossano l’occhio, se non con un colore diverso, che ogni volta che varcherai la linea immaginaria di confine del loro negozio ti daranno il benvenuto e l’arrivederci tutte le volte a seconda dell’occasione e con un volume di voce che puoi trovare ai mercati. Fanstastiche, favolose semplicemente bellissime. Anche in questo centro commerciale abbiamo trovato ragazze che ci riempivano di complimenti per i nostri tratti somatici, una s’è vantata d’avere il nonno tedesco e mi ha consigliato le ciglia finte che aveva lei, io ruffiana quale sono le ho detto che stavano meglio a lei, ma poi ci siamo perse in complimenti smielosi. Non ci posso fare nulla, io adoro le giapponesi, i giapponesi e la loro cultura.
La serata più forte è stata quello dello spettacolo, dell’esibizione della Sara, dove io con 2 corpi macchina con 2 obbiettivi lunghi, fotografavo costantemente ogni suo movimento. E in 3 minuti è veramente una cosa fulminea da fare, ci vogliono nervi saldi e concentrazione, cosa che ho subito vacillato prendendo la sua macchina fotografica in mano, mi ha scatenato un pianto isterico che solo grazie alla consapevolezza che lui mi avrebbe brontolato, ho potuto fermare. Adesso toccava a me, e dovevo fare il mio dovere; come Sara che, ironia della sorte, aveva portato come coreografia la storia di una farfalla che nasce dal bozzolo, compie le sue evoluzioni e poi muore. Questa coreografia creata prima dell’intervista raccontava esattamente la vita di Fede. Un essere così bello, così radioso, che con la sua generosità rallegrava la vita di chiunque incontrasse nel suo cammino, ci ha accecato con la sua bontà e d’improvviso ci ha catapultato nel buio più nero. L’esibizione della Sara è stata magnifica, incantevole, io sono subito scoppiata a piangere e il fotografo che avevo appena conosciuto e con cui avevo appena fatto amicizia mi disse che devo sfogarmi e che dovevo andare da Sara. Lì nel camerino, con un pianto che sa solo di sfogo per lo stress e la tensione accumulata, riceve tanti complimenti per una performance insolita per l’ambiente, che è basato principalmente sulla forza fisica. Uno spettacolo allo stato puro. Gli spettatori si sono alzati e avvicinati al palco per poter vedere meglio, mentre facevo le foto sentivo i loro commenti e capivo che il messaggio della vita e della morte era arrivato, rimasero estasiati e i giapponesi con il loro tipico “oooooooooooooo” prolungato palesavano la coreografia. I conduttori della serata si complimentano direttamente con lei in camerino, come gran parte dello staff e dei suoi colleghi. Il risultato finale alla fine non conta, un 8° posto è comunque ottimo traguardo per una ragazza di 33 anni che solo da un anno ha intrapreso questa nuova disciplina, ma la maggiore soddisfazione è stata questa ovazione, questo susseguirsi di complimenti e di soddisfazioni che l’hanno portata anche a San Remo lo scoraso 16 febbraio 2011. Per lei sicuramente un ulteriore regalo da parte del fratello.
Il giorno prima della partenza, mi sono concessa una giornata totalmente in solitario. Quando la sera siamo tornate alle 5 del mattino e mi avevano proposto di svegliarsi alle 14, io sentivo che c’era una vocina che mi diceva “siè, ma che siamo matti, e quando ci torno a Tokyo, non s’è visto nulla, s’avrà tempo di dormire quando siamo in aereo e di riposare quando saremo in Italia!No, no, io alle 9 sono sveglia!” Così alle 8.30 mi sono alzata e dopo colazione mi sono ripromessa di cercare di visitare quelle zone di Tokyo che avevo stabilito con Fede, giusto le principali. Sono andata alla ricerca dei cosplayer a Jojogi Park, con l’amara delusione di non trovare nessuno se non pazzi psicopatici che studiavano un copione e ballettavano o urlavano tra di loro, sono andata a camminare sulle rive del fiume Tamagawa, romantico e rilassante come nel manga di Nana, ho perso tutto il pomeriggio a visitare la Tokyo Tower, salire fino in cima è stato emozionantissimo e la mancanza di Fede si è fatta sentire abbondantemente, tanto che mi sono comprata con 2.000 Yen 2 monete con incisa l’immagine della torre e dove ho potuto incidere grazie ad una macchinetta delle lettere, e in quella di Fede ho scritto “Federico Brilli was there”, perché lui ci ha accompagnate! Scesa dai 333m ho chiesto alla reception se conoscessero un hotel dove fosse possibile scattare delle foto alla torre dall’alto, così sono andata nell’Hotel indicatomi che con soli 2000 Yen son potuta salire e fare tt le foto alla torre rossa. Era l’ultima sera, e mi erano avanzati 20.000 yen, di riportarli a casa non avevo granchè intenzione, sono donna e amo lo spendere, così lungo la via per arrivare all’hotel, ho investito 10.000 yen in 2 magliette dell’Hard Rock cafè, l’avevo promesso a mia sorella, e francamente adesso ne sono più felice. Ho un difetto, quando mi metto a fare foto, perdo la cognizione del tempo e non sento nulla, nemmeno la fame, infatti avevo appuntamento a sinjuku con Sara e Simona, ma mi sono completamente dimenticata di loro scattando le numerose foto alla mia amata torre. Lì, ho potuto fare la conoscenza di 3 persone magnifiche, in un momento in cui avevo bisogno dell’aiuto di qualcuno per poter fare delle foto che ritraessero me, con dietro l’immagine della Torre, è intervenuto un ragazzo con le sue 2 colleghe. Abbiamo parlato di tante cose, dei problemi economici, dei problemi con gli orari di lavoro, lì lavorano dalle 14 alle 18 ore di norma, e a volte come ci diceva anche la cugina di Sara dormono direttamente in ufficio e dormono giusto un paio d’ore, in giappone hanno anche la morte clinica dovuta da stress da troppo lavoro. Dato che dovevo trovarmi a Shinjuku nella zona rossa con Sara e Simona, il ragazzo si è offerto di accompagnarmi, gentilissimo. E arrivati lì in quella zona che mai avrei potuto raggiungere senza il suo aiuto, l’ho congedato con un gesto poco orientale e molto occidentale…un bacio sulla guancia! E nella zona a luci rosse, le risate non sono mancate. Dato che Simona non riusciva a capire e farsi capire per quello che volevamo vedere, sono intervenuta io alla ricerca di uno spettacolo da ballo di ragazze giapponesi, peccato che erano le 23.30 e tutti gli spettacoli stavano finendo!:( così ci siamo dirette verso la stazione, che aimè era chiusa. Abbiamo preso il taxy che da lì all’Hotel c’è costato 3.000 Yen, una sassata!
La sera, rientrate in Hotel, io e Sara avevamo una cosa da fare insieme prima di ripartire, e cioè scrivere con la luce, la tecnica che io Fede stavamo “raffinando” prima che se ne andasse, il suo nome! Avevamo scelto una scena tipica, uno sfondo dove nessuno poteva negare che era lì che avevamo scritto il suo nome, già c’avevo provato io qualche sera prima a Jojogi park, ma senza grande soddisfazione, quindi ci dirigemmo verso il tempio accanto al nostro hotel. E lì, abbiamo scritto quello che sentivamo, quello che era chiarissimo e lo sarebbe stato sempre di più, e cioè, che Fede era con noi, e ci aveva sostenute per poter affrontare quell’evento insieme. Come doveva essere, noi 3 insieme.
L’aria di Tokyo è stata di grande aiuto anche a Sara, mentre quel giorno lo aveva trascorso in solitario, lei era stata in giro per templi e per la sua fede Buddista era stata di grande importanza, ha potuto prendere tutte le energie positive di quella popolazione,e caricarsi perché quello che l’attendeva a Roma era la consapevolezza di ritornare a casa e sapere di aver fatto una grandissima cosa, di cui ci saremo rese conto solo dopo, ma che non avrebbe potuto condividere questa gioia se non con i genitori, che grazie a Skype si sentiva e vedeva tutte le sere.
Per quanto mi riguarda, già sapevo che un viaggio mi sarebbe stato utile, e non avrei potuto sperare di meglio per affrontare un evento così importante della mia vita se non il Giappone. Come sempre, ritornare ti fa venire subito la voglia di ritornare nel posto visitato, con Fede avevamo in programma zone come Osaka e Hiroshima ma che, grazie al mio lavoro, speravo di poter imbucarmi insieme ai ragazzi del Team nella gara a novembre proprio in Giappone. Purtroppo dopo gli ultimi eventi temo che questa data possa essere cancellata. Non sono in pena per il mio “viaggio futuro saltato” so che tornerò prima o poi in Giappone, non è di certo un allarme nucleare che me lo impedirà, sono in pena per la popolazione che è stata educata a soffocare le proprie emozioni e sopportare momenti critici senza esporre le proprie paure, perché disonorevole. Una popolazione semplicemente ammirevole.
“La vita è come un libro, chi non viaggia ne legge solo una pagina.” S. Agostino.
Niente di più vero, viaggiare apre la mente!e il Giappone, è un ottimo punto di partenza per tutti.
ata questa ovazione, questo susseguirsi di complimenti e di soddisfazioni che l’hanno portata anche a San Remo lo scoraso 16 febbraio 2011. Per lei sicuramente un ulteriore regalo da parte del fratello.
Il giorno prima della partenza, mi sono concessa una giornata totalmente in solitario. Quando la sera siamo tornate alle 5 del mattino e mi avevano proposto di svegliarsi alle 14, io sentivo che c’era una vocina che mi diceva “siè, ma che siamo matti, e quando ci torno a Tokyo, non s’è visto nulla, s’avrà tempo di dormire quando siamo in aereo e di riposare quando saremo in Italia!No, no, io alle 9 sono sveglia!” Così alle 8.30 mi sono alzata e dopo colazione mi sono ripromessa di cercare di visitare quelle zone di Tokyo che avevo stabilito con Fede, giusto le principali. Sono andata alla ricerca dei cosplayer a Jojogi Park, con l’amara delusione di non trovare nessuno se non pazzi psicopatici che studiavano un copione e ballettavano o urlavano tra di loro, sono andata a camminare sulle rive del fiume Tamagawa, romantico e rilassante come nel manga di Nana, ho perso tutto il pomeriggio a visitare la Tokyo Tower, salire fino in cima è stato emozionantissimo e la mancanza di Fede si è fatta sentire abbondantemente, tanto che mi sono comprata con 2.000 Yen 2 monete con incisa l’immagine della torre e dove ho potuto incidere grazie ad una macchinetta delle lettere, e in quella di Fede ho scritto “Federico Brilli was there”, perché lui ci ha accompagnate! Scesa dai 333m ho chiesto alla reception se conoscessero un hotel dove fosse possibile scattare delle foto alla torre dall’alto, così sono andata nell’Hotel indicatomi che con soli 2000 Yen son potuta salire e fare tt le foto alla torre rossa. Era l’ultima sera, e mi erano avanzati 20.000 yen, di riportarli a casa non avevo granchè intenzione, sono donna e amo lo spendere, così lungo la via per arrivare all’hotel, ho investito 10.000 yen in 2 magliette dell’Hard Rock cafè, l’avevo promesso a mia sorella, e francamente adesso ne sono più felice. Ho un difetto, quando mi metto a fare foto, perdo la cognizione del tempo e non sento nulla, nemmeno la fame, infatti avevo appuntamento a sinjuku con Sara e Simona, ma mi sono completamente dimenticata di loro scattando le numerose foto alla mia amata torre. Lì, ho potuto fare la conoscenza di 3 persone magnifiche, in un momento in cui avevo bisogno dell’aiuto di qualcuno per poter fare delle foto che ritraessero me, con dietro l’immagine della Torre, è intervenuto un ragazzo con le sue 2 colleghe. Abbiamo parlato di tante cose, dei problemi economici, dei problemi con gli orari di lavoro, lì lavorano dalle 14 alle 18 ore di norma, e a volte come ci diceva anche la cugina di Sara dormono direttamente in ufficio e dormono giusto un paio d’ore, in giappone hanno anche la morte clinica dovuta da stress da troppo lavoro. Dato che dovevo trovarmi a Shinjuku nella zona rossa con Sara e Simona, il ragazzo si è offerto di accompagnarmi, gentilissimo. E arrivati lì in quella zona che mai avrei potuto raggiungere senza il suo aiuto, l’ho congedato con un gesto poco orientale e molto occidentale…un bacio sulla guancia! E nella zona a luci rosse, le risate non sono mancate. Dato che Simona non riusciva a capire e farsi capire per quello che volevamo vedere, sono intervenuta io alla ricerca di uno spettacolo da ballo di ragazze giapponesi, peccato che erano le 23.30 e tutti gli spettacoli stavano finendo!:( così ci siamo dirette verso la stazione, che aimè era chiusa. Abbiamo preso il taxy che da lì all’Hotel c’è costato 3.000 Yen, una sassata!
La sera, rientrate in Hotel, io e Sara avevamo una cosa da fare insieme prima di ripartire, e cioè scrivere con la luce, la tecnica che io Fede stavamo “raffinando” prima che se ne andasse, il suo nome! Avevamo scelto una scena tipica, uno sfondo dove nessuno poteva negare che era lì che avevamo scritto il suo nome, già c’avevo provato io qualche sera prima a Jojogi park, ma senza grande soddisfazione, quindi ci dirigemmo verso il tempio accanto al nostro hotel. E lì, abbiamo scritto quello che sentivamo, quello che era chiarissimo e lo sarebbe stato sempre di più, e cioè, che Fede era con noi, e ci aveva sostenute per poter affrontare quell’evento insieme. Come doveva essere, noi 3 insieme.
L’aria di Tokyo è stata di grande aiuto anche a Sara, mentre quel giorno lo aveva trascorso in solitario, lei era stata in giro per templi e per la sua fede Buddista era stata di grande importanza, ha potuto prendere tutte le energie positive di quella popolazione,e caricarsi perché quello che l’attendeva a Roma era la consapevolezza di ritornare a casa e sapere di aver fatto una grandissima cosa, di cui ci saremo rese conto solo dopo, ma che non avrebbe potuto condividere questa gioia se non con i genitori, che grazie a Skype si sentiva e vedeva tutte le sere.
Per quanto mi riguarda, già sapevo che un viaggio mi sarebbe stato utile, e non avrei potuto sperare di meglio per affrontare un evento così importante della mia vita se non il Giappone. Come sempre, ritornare ti fa venire subito la voglia di ritornare nel posto visitato, con Fede avevamo in programma zone come Osaka e Hiroshima ma che, grazie al mio lavoro, speravo di poter imbucarmi insieme ai ragazzi del Team nella gara a novembre proprio in Giappone. Purtroppo dopo gli ultimi eventi temo che questa data possa essere cancellata. Non sono in pena per il mio “viaggio futuro saltato” so che tornerò prima o poi in Giappone, non è di certo un allarme nucleare che me lo impedirà, sono in pena per la popolazione che è stata educata a soffocare le proprie emozioni e sopportare momenti critici senza esporre le proprie paure, perché disonorevole. Una popolazione semplicemente ammirevole.
“La vita è come un libro, chi non viaggia ne legge solo una pagina.” S. Agostino.
Niente di più vero, viaggiare apre la mente!e il Giappone, è un ottimo punto di partenza per tutti.
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Marco Togni
Abito in Giappone, a Tokyo, da molti anni. Sono arrivato qui per la prima volta oltre 15 anni fa. Fondatore di GiappoTour e GiappoLife. Sono da anni punto di riferimento per gli italiani che vogliono venire in Giappone per viaggio, lavoro o studio. Autore dei libri Giappone, la mia guida di viaggio, Giappone Spettacularis ed Instant Giapponese (ed.Gribaudo/Feltrinelli) e produttore di video-documentari per enti governativi giapponesi. Seguito da più di 2 milioni di persone sui vari social (Pagina Facebook, TikTok, Instagram, Youtube).