Criminalità organizzata a New York
Le vicende criminali di film celebri come “Gangs of New York” di Martin Scorsese e “Il Padrino” di Francis Ford Coppola non sono inventate, ma si ispirano a fatti reali di quello che è stato per anni una sorta di universo parallelo e nascosto della Grande Mela. Un universo che vede le sue origini nel cosiddetto “Five Points”, un quartiere povero e degradato che prendeva il nome dall’incrocio “a cinque angoli tra alcune vie di Manhattan: oggi corrisponde più o meno alla zona in cui si incontrano Baxter Street e Worth Street, compresa tra Chinatown e il Financial District.
All’epoca qui nacque la prima forma di società “multiculturale” di New York, in quanto il basso costo degli immobili attirò tanti immigrati, soprattutto irlandesi, e afroamericani. Come spesso accade, però, alla povertà si accompagna la criminalità e Five Points non fu un’eccezione: la zona fu infatti dominata per anni da gang criminali, che sin dal principio non lottavano solo per il dominio dei traffici illegali e del territorio, ma anche per il controllo delle istituzioni politiche.
Le prime band a comandare sono le stesse citate nel film di Scorsese, i “Dead Rabbits”, un gruppo irlandese e i “Bowery Boys”, che si scontrarono in una lunga battaglia. Con gli arrivi massicci di immigrati italiani e cinesi, all’incirca dopo la metà dell’800, cominciano a formarsi delle vere e proprie organizzazioni criminali, che conosciamo comunemente come mafia.
La mafia cinese a New York
Della mafia cinese a New York non si parla molto, ma se vi capita di visitare il Museum of Chinese in America scoprirete che la nascita di questa organizzazione la si deve in particolar modo alla grande emarginazione della comunità cinese nel 1800. In pochi lo sanno ma nel 1882, dopo anni di campagne e discriminazioni contro gli immigrati asiatici, accusati di rubare il lavoro agli americani, fu approvata la prima legge che vietava l’ingresso di cinesi in America, la cosiddetta “Chinese Exclusion Act”. Ma i cinesi continuarono ad arrivare negli USA illegalmente, quindi la maggior parte di loro era clandestina, persone invisibili per lo stato americano. Per offrire sostegno ai membri della comunità vennero fondate delle associazioni che aiutavano le famiglie in difficoltà; gran parte di queste non erano organizzazioni criminali, ma agli inizi del ‘900 furono affiancate dalle “tong”, società segrete che offrivano lavoro e protezione ai membri e divennero famose per la gestione di scommesse illegali, dei traffici di droga e per una lunga serie di omicidi scaturiti da lotte tra bande rivali che portò l’attuale Doyers Street ad essere soprannominata “the Bloody Angle”. Le più famose e temute gang criminali cinesi erano gli On Leongs e gli Hip Sings, che si scontrarono più volte in una lunga guerra durata fino agli anni ’30 del Novecento, un periodo in cui la mafia cinese subì un declino per una serie di fattori: le autorità fecero chiudere i luoghi delle scommesse clandestine e le nuove generazioni di cinesi, nate in America, non avevano più necessità di dipendere dalle tong.
La mafia italiana
La mafia arrivò in America con la prima ondata di immigrati italiani, che dapprima si stabilirono nell’area di Five Points dando vita alla Italian Five Points Gang, fondata da Paolo Antonio Vaccarelli, noto come Paul Kelly. L’associazione criminale italiana si distinse dalle altre per il suo modo di agire che si concentrava soprattutto sulla corruzione dei politici: falsificando le elezioni, attraverso le minacce e l’acquisto dei voti, favorivano uno dei candidati di turno in cambio di favori e protezione. Il fenomeno della mafia italiana esplose però attorno agli anni ’30, durante il Proibizionismo, quando i boss trovarono il modo di guadagnare attraverso il commercio degli alcolici vietati. È in questo periodo che nasce l’organizzazione di Cosa Nostra a New York, la quale era conosciuta anche come “Cinque Famiglie”. Salvatore Maranzano fu colui che ideò questa struttura governata da cinque famiglie con nomi noti come Genovese, Gambino, Bonanno e Lucchese, vicine al clan di Al Capone di Chicago. La roccaforte di Cosa Nostra era, naturalmente, Little Italy. Per anni le organizzazioni criminali italiane sono state il nemico numero uno dell’FBI. La mafia italiana si è evoluta nel corso del tempo, passando dalla discrezione dei primi capi clan, che puntavano a fare soldi senza dar troppo nell’occhio, allo stile esuberante di boss come John Gotti, capo della famiglia Gambino negli anni ’80, che catturò l’attenzione di media e stampa. L’accendersi dei riflettori sulla mafia a New York ha contribuito in parte al suo declino, insieme ad un altro fattore fondamentale: oggi i figli dei clan hanno accesso al mercato del lavoro alla pari degli altri, possono diventare finanzieri, avvocati, dottori, ecc. e non hanno più necessità di continuare “l’attività” di famiglia per fare soldi.
La lotta alla criminalità organizzata e la mafia oggi
La svolta nella lotta contro il crimine organizzato, soprattutto di stampo mafioso, si ebbe con la legge RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), ideata da Nixon nel 1970, che per la prima volta puntava a colpire l’intera organizzazione, definendo come colpevoli di un reato non solo chi lo aveva materialmente commesso ma anche i mandanti. La legge prevedeva anche un’altra novità fondamentale, ovvero l’introduzione del programma di protezione testimoni che diede a molti pentiti la possibilità di diventare collaboratori di giustizia e farsi una nuova identità. Tuttavia la criminalità organizzata di origine italiana a New York non è affatto scomparsa e si verificano ancora oggi arresti per reati “in vecchio stile”, come estorsioni e pizzo, anche se i clan sono stati decimati e si trovano a contendere gli affari con organizzazioni di altra nazionalità, come cinesi, russi e messicani, con cui la mafia italiana collabora per fare soldi ma con i quali non si scontra in quanto oggi non è più forte come una volta e preferisce fare business invece che la “guerra”. C’è inoltre una grande differenza tra la mafia italiana di un tempo e quella odierna: i boss del passato godevano infatti della protezione di giudici e politici corrotti, una rete molto ampia che ha permesso alla mafia italiana di sopravvivere per decenni.
In più di un secolo di storia anche i luoghi di ritrovo di bande criminali e mafiosi sono cambiati: oggi i Five Points sono scomparsi, molti locali storici, tra cui anche alcuni di Little Italy, come il Ravenite Social Club del clan Gambino, sono stati sostituiti da altre attività come effetto anche della disgregazione della comunità italoamericana. Negli ultimi anni, infatti, si è verificato un fenomeno migratorio da Manhattan ai sobborghi periferici come Bronx, Queens, e Brooklyn e anche verso il New Jersey. La mafia italiana di un tempo, nella percezione americana, resta più che altro un fenomeno del passato, legato alla cultura popolare, ma non viene più avvertita come un reale pericolo, nonostante esista ancora, anche grazie ai film come Il Padrino e alle serie tv come I Soprano.
Una curiosità: il Museum of the American Gangster
Se siete incuriositi dalle storie in stile “Il Padrino” potete visitare il Museum of the American Gangster, un piccolo museo dell’East Village (80 St. Mark’s Place) ospitato all’interno di un ex bar del Proibizionismo frequentato da Al Capone, Lucky Luciano e John Gotti. La mostra raccoglie una serie di documenti e fotografie storici raccolti nel periodo del Proibizionismo, oltre ad una serie di oggetti ritrovati su scene del crimine, come alcuni proiettili e le maschere utilizzate dal ladro John Dillinger, che ha ispirato tanti film hollywoodiani.
Autore
Marco Togni
Abito in Giappone, a Tokyo, da molti anni. Sono arrivato qui per la prima volta oltre 15 anni fa. Mi piace viaggiare, in particolare in Asia e non solo, e scoprire cibi, posti e culture. Fondatore di GiappoTour e GiappoLife. Sono da anni punto di riferimento per gli italiani che vogliono venire in Giappone per viaggio, lavoro o studio. Autore dei libri Giappone, la mia guida di viaggio, Giappone Spettacularis ed Instant Giapponese (ed.Gribaudo/Feltrinelli) e produttore di video-documentari per enti governativi giapponesi. Seguito da più di 2 milioni di persone sui vari social (Pagina Facebook, TikTok, Instagram, Youtube).